Benedetto XVI compie 91 anni, 5 dei quali trascorsi da Papa Emerito, rispettando l'impegno al silenzio e alla preghiera per il nuovo Papa al quale esplicitamente assicurò obbedienza prima dell'elezione. Un atteggiamento che ha confermato più volte pubblicamente e che rappresenta un impegno a favore del suo successore Papa Francesco, vittima, come ha scritto lo stesso Ratzinger, di "uno stolto pregiudizio".
Un atteggiamento di opposizione preconcetta con il quale il Pontificato si scontra. Ma se tutti i Papi hanno sperimentato tali difficoltà, questa volta c'è di nuovo che essendo vivo il predecessore viene alimentato purtroppo da personaggi che si fanno scudo della grandezza del Papa Emerito per agire contro la riforma della Curia, sulla cui necessità si era espresso apertamente 5 anni fa lo stesso Joseph Ratzinger, all'atto delle sue dimissioni.
Ci sono tradizionalisti che si autodefiniscono "ratzingeriani", che vaneggiano su una "opzione Benedetto" da contrapporre alla Chiesa povera e in uscita di Francesco, non deve far dimenticare l'umiltà e bontà di quello che il successore considera "un nonno saggio". Tutto questo ferisce Francesco e certo non fa piacere al predecessore.
Il maggiore teologo vivente
Joseph Ratzinger, che gode di una discreta salute considerando l'età, probabilmente resta anche il maggiore teologo vivente, autore - era stato detto 13 anni fa nei giorni dell'elezione - di più libri di quanti mediamente ne avessero letti gli altri cardinali di Santa Romana Chiesa, ma è prima di tutto un uomo buono e umile. "Umile lavoratore della vigna del Signore", volle definirsi affacciandosi per la prima volta da Papa (con le maniche di un maglione nero da professore che spuntavano sotto l'abito bianco appena indossato, a riprova che, seppure per molti di noi era il favorito, lui mai si sarebbe aspettato di essere eletto).
Un lavoro intellettuale, quello svolto fino ad allora. E al quale da vescovo di Roma non ha rinunciato, offrendo alla guida della Chiesa, da lui esercitata coniugando dolcezza e fermezza, il valore aggiunto della sua elaborazione culturale. Nella decisione di non abbandonare nel suo Pontificato il lavoro di teologo emerge poi la sua grande apertura. Nella prefazione al primo volume del suo "Gesù di Nazaret" scrive un'altra frase che rimane impressa:
"Questo libro non è assolutamente un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del 'volto del Signorè. Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell'anticipo di simpatia senza la quale non c'è alcuna comprensione".
Forse nessun Papa aveva mai parlato in questi termini. E nessun Papa si è speso quanto lui nella lotta agli abusi. L'intero pontificato ratzingeriano è stato punteggiato, come fossero le stazioni di una "Via Crucis", dagli incontri di Benedetto XVI con le vittime che hanno avuto luogo in Vaticano, negli Usa, in Australia, a Malta, in Gran Bretagna e in Germania.
"Possano la nostra tristezza e le nostre lacrime, il nostro sforzo sincero di raddrizzare gli errori del passato, e il nostro fermo proposito di correzione, portare abbondanti frutti di grazia", ha scritto Benedetto XVI che per una volta, nella lettera ai cattolici dell'Irlanda del 19 marzo 2010 significativamente, utilizza il plurale delle dichiarazioni solenni, unendo il suo dolore sincero a quello delle vittime di tanto scempio: in altri Paesi, ricorda, "mi sono soffermato con loro, ho ascoltato le loro vicende, ho preso atto della loro sofferenza, ho pregato con e per loro, così come sono disponibile a farlo in futuro".
Una promessa raccolta da Papa Francesco perché quel plurale usato da Ratzinger esprime apertamente, e senza cercare alibi per nessuno, "la vergogna e il rimorso che tutti proviamo". "Tutti noi - si legge in quel testo - stiamo soffrendo come conseguenza dei peccati di nostri confratelli che hanno tradito una consegna sacra o non hanno affrontato in modo giusto e responsabile le accuse di abuso", spiega il Papa, poi dimissionario, qualificando nello stesso modo - ed è uno dei grandi elementi di novità di questo straordinario documento - i crimini dei preti pedofili e la colpevole passività dei vescovi.
"Seri errori furono commessi nel trattare le accuse", ammette dunque il Pontefice tedesco, che confessa di aver provato in prima persona anch'egli "lo sgomento e il senso di tradimento che molti hanno sperimentato al venire a conoscenza di questi atti peccaminosi e criminali e del modo in cui le autorità della Chiesa in Irlanda li hanno affrontati". Sono parole molto simili a quelle della lettera scritta da Papa Francesco qualche giorno fa ai vescovi cileni. Una dimostrazione ulteriore, se ce ne fossero bisogno, della vicinanza spirituale tra i due Papi che "coabitano" in Vaticano.