Puntano a far luce sull'operato di almeno cinque poliziotti della National Security egiziana gli accertamenti della Procura di Roma che si sta occupando del sequestro, delle torture e della morte di Giulio Regeni. In particolare, sono due i profili di approfondimento che il Procuratore Giuseppe Pignatone e il pm Sergio Colaiocco intendono portare avanti, grazie anche alla collaborazione avviata ormai da mesi con il Procuratore Generale della Repubblica Araba d'Egitto Ahmed Nabil Sadek.
I documenti di Giulio e gli ufficiali indagati
Un primo ambito riguarda la sparatoria del 24 marzo scorso culminata con il massacro dei cinque componenti della banda di criminali comuni, specializzata nel rapimento di turisti stranieri, e le modalità di ritrovamento di alcuni documenti riconducibili a Giulio Regeni nella casa della sorella di Tarek, il presunto capo di questa banda. Due ufficiali di polizia che presero parte al conflitto a fuoco risultano indagati al Cairo per omicidio premeditato mentre agli inquirenti romani è stato trasmesso pochi giorni fa il verbale di interrogatorio di un colonnello della NS che effettuò la perquisizione a casa Tarek.
L'altro ambito, su cui sta lavorando la Procura di Roma, si riferisce agli accertamenti che la polizia egiziana ha svolto sul conto di Regeni tra il dicembre 2015 e il gennaio 2016: all'attenzione dei nostri magistrati ci sono, in particolare, i verbali di due poliziotti che hanno negato di aver chiesto all'allora capo dei venditori ambulanti Mohamed Abdallah di realizzare il video del colloquio, avvenuto il 6 gennaio, con Giulio Regeni e di avergli fornito tutta l'apparecchiatura necessaria per poterlo portare a compimento. A detta degli agenti, sarebbe stato lo stesso Abdallah, spontaneamente, a creare il filmato, poi consegnato alla polizia, con il suo telefonino cellulare all'insaputa di Giulio. E ancora: stando agli agenti, le attività di investigazione della polizia su Regeni sarebbero durate tre giorni, dal 7 gennaio (data della denuncia di Abdallah che riteneva Regeni una 'spia') al 10 gennaio. Tutto ciò non corrisponde affatto a quanto scoperto dai magistrati di piazzale Clodio.
Riccardo Noury in diretta web su Agi
Dai tabulati risulta che il primo incontro tra Abdallah e Giulio risale all'8 dicembre 2015 al mercato di Ramses. Dunque, gli accertamenti della polizia si sarebbero dovuti esaurire l'11 (quando Regeni, unico occidentale, venne fotografato nel corso di una riunione di sindacalisti egiziani) o, al massimo, il 12 dicembre mentre, invece, l'attività di investigazione è proseguita a gennaio inoltrato, a pochi giorni dalla scomparsa del ricercatore italiano: lo provano i contatti telefonici tra l'ex capo degli ambulanti e la National Security dell'8, dell'11 e del 14 gennaio, quindi in epoca successiva alla presunta data di denuncia (6 gennaio) presentata contro Regeni.
Sequestrato, torturato e ucciso perché considerato un rischio per la sicurezza nazionale
Regeni è stato sequestrato, torturato e poi ucciso perché si riteneva che la sua attivita' di ricerca al Cairo avrebbe messo a rischio la sicurezza nazionale dell'Egitto. Di questo è ormai convinta la Procura di Roma alla luce di una serie di atti e documenti trasmessi dalle autorita' egiziane. Chi ha rapito e torturato fino alla morte il 28enne ricercatore di origine friulana voleva conoscere a che cosa fosse finalizzata questa sua attivita' e quale fosse la rete di conoscenze che Regeni si era costruito al Cairo. A tradire il ragazzo italiano e' stato l'allora capo del sindacato autonomo dei venditori ambulanti, Mohamed Abdallah che da un lato puntava a ricavare un profitto personale dall'ipotetico finanziamento di 10mila sterline di cui Giulio avrebbe potuto beneficiare dall'inglese Antipode Foundation e, dall'altro, ad accreditarsi come informatore di livello presso la National Security. Dopo aver capito che non sarebbe stato possibile mettere le mani su quei soldi, se non in modo ufficiale e trasparente, Abdallah denuncio' alla polizia Regeni il 7 gennaio, dicendo che era una spia.