Rieti - Le roulotte del campo “autonomo” sono posizionate subito fuori quel che resta del paese. Quel paese che per la toponomastica si chiama “San Lorenzo e Flaviano”, ma per tutti gli amatriciani è semplicemente “Villa”. Una doppia nomenclatura dovuta a una distorsione nata e perduta nel tempo passato, di quel tempo che il 24 agosto ha fatto segnare il numero “zero”, resettando il conteggio. Perché di quella frazione, Villa, o San Lorenzo e Flaviano, è rimasto poco o nulla. Siamo nella direttrice della provinciale 20 che collega Retrosi a Saletta, e in linea d’aria Amatrice ad Accumoli. È qui che il terremoto ha martellato con forza devastante, radendo al suolo quasi tutto. Non è un’esagerazione, basta percorrere la strada, riaperta appena da qualche giorno, per scorgere istantanee apocalittiche: una dopo l’altra le piccole e piccolissime frazioni dell’asse nord-ovest di Amatrice mostrano le loro ferite profonde. A Retrosi l’acqua che zampilla ancora dalla fontana di quello che era il centro del paese è l’unico rumore presente in un silenzio spettrale. Le case sono sventrate, dagli enormi buchi sulle pareti e sui solai emergono brandelli della vita che era prima del “mostro”: letti, mobili, frammenti di una camera da letto, o di una cucina, di quell’intimità domestica spazzata via dalla furia del sisma. Di fronte i resti della chiesa, una delle tante, tantissime chiese disseminate nella vastità del territorio amatriciano.
La chiesa salvata
Ma non tutte le chiese sono uguali, ci sono luoghi di culto ai quali gli amatriciani sono legati da un rapporto quasi mistico: è il caso dell’Icona Passatora, l’eremo situato lungo la strada che da Retrosi porta a Villa San Martino. Bisogna conoscere la strada, per arrivarci. Oppure stare molto attenti alle poche indicazioni presenti, come ha fatto la squadra di vigili del fuoco che in una giornata riesce a “imbracare” la chiesa con un’armatura di legno, che la preserverà in attesa di un intervento risolutivo. Basta una foto pubblicata sui social per capire che cosa rappresenta l’Icona Passatora per gli amatriciani: nel giro di un pomeriggio i “like” sono centinaia, poi migliaia. Commenti di gioia e ringraziamenti ai vigili del fuoco, gli angeli del terremoto, le uniche divise che si vedono, fatte salve le varie polizie locali che controllano una viabilità ancora difficile, lontano dai riflettori di Amatrice capoluogo.
#terremoto #Amatrice @Radio1Rai la chiesa del 1200 dell'icona Passatora é in piedi, una perla locale pic.twitter.com/fpWUXLWQD1
— Francesca Malaguti (@Framalaguti) 25 agosto 2016
Il destino delle frazioni più piccole (e dimenticate)
Già. Perché la storia, nelle frazioni, è leggermente diversa: dopo il clamore dei primi giorni le passerelle sono scomparse, e con esse l’attenzione dell’opinione pubblica, tutta concentrata sul borgo principale. E ai cittadini rimasti nella costellazione di paesi e micro-paesi che fanno da guardia a “mamma Amatrice” non resta che attrezzarsi per conto proprio. In attesa di un aiuto che da queste parti ancora tarda ad arrivare.
Fabio e Luciana attrezzano per conto loro la base di quella che sembra essere una sistemazione per l’inverno, di fronte alla loro casa ridotta in pezzi. Non una casa qualsiasi, ma un vero e proprio museo a cielo aperto, che custodisce reperti e storie uniche del passato, di quando Amatrice e le sue colline erano la capitale della transumanza del centro Italia, ritrovo dei pastori in viaggio da quattro regioni. Qualcosa di quel piccolo grande tesoro è andato perduto, qualcosa invece è stato salvato, grazie ad amici e conoscenti, e a una delle tante associazioni che rappresentano la vera solidarietà delle frazioni. La frazione dove abitano Fabio e Luciana si chiama Francucciano, è una delle più piccole, delle più isolate, ma non per questo disabitata. Non ancora. Non per adesso.
Paesi fantasma
Qualche macchina passa anche tra Moletano e Collepagliuca, dove si lavora per demolire i resti degli edifici pericolanti che insistono sul tratto stradale che scende verso Cascello. E poi verso Prato, altro paese fantasma, dove i crolli hanno precluso ogni via d’accesso alla piazzetta di sassi e sampietrini. Nell’altra storia, quella prima del 24 agosto, il centro di Prato sarebbe potuto essere benissimo il soggetto di una cartolina d’epoca; ora, tutto intorno, ci sono soltanto silenzio e abbandono, tra cavi elettrici penzolanti e mucchi di sassi venuti giù da ogni dove. Da una casa si scorge un tavolo apparecchiato, lasciato così, ormai da più di tre mesi.
Macerie, morte e distruzione
Proseguendo lungo la provinciale 20 si “scollina” verso Sommati, nome che con quelli di Scai e Torrita rappresenta il gruppo di frazioni più grandi tra le 69 del Comune. Qui c’è il deposito dei mangimi realizzato da Coldiretti, qui c’è ancora un campo semiattrezzato, sorto a pochi passi dal paese distrutto. Così come la mensa, una delle tre ancora aperte (le altre ad Amatrice e a Torrita). Nella vicina Sant’Angelo, altra frazione quasi rasa al suolo, sorgerà il complesso di Sae (Soluzioni abitative d’emergenza) destinate a ospitare l’intera porzione di territorio. Tutto intorno, il nulla: Faizzone è irraggiungibile, chiusa a monte dal nastro bianco e rosso della sicurezza; Rocchetta è semidistrutta, Petrana lo è completamente. Qui sono morte delle persone, nella tragedia infinita del 24 agosto. La curva che da Rio porta a “Villa”, o San Lorenzo e Flaviano, è riaperta, e tutto intorno è distruzione: neanche una casa è rimasta in piedi, solo pezzi di edifici qua e là, prima di arrivare a San Lorenzo, dove per raggiungere il campo “autonomo” bisogna percorrere il bypass sbrecciato realizzato proprio per consentire alla popolazione di essere collegata con il resto del mondo. “Qui non è che si vedano molte persone delle forze di soccorso - racconta un residente della frazione - per fortuna che il Comune ci ha dato l’attacco alla corrente, così abbiamo le stufette accese giorno e notte e stiamo caldi”. Perché l’inverno inizia a “pizzicare”. “Anzi - continua - per fortuna non ha ancora nevicato, ma tanto prima o poi arriva”. Chi ha la casa ancora agibile rientra solo per fare la doccia o usare il bagno, ma di dormire sotto quattro mura non se ne parla. Perché la notte, quasi ogni notte, qui si “balla” ancora forte.
Da Villa si arriva a Saletta, e poi a Casale, tra le ultime frazioni prima di sconfinare in territorio del Comune di Accumoli. Lo scenario è identico, con macerie ovunque e paesi fantasma. Saletta, con i suoi 22 morti, è la frazione che ha pagato il prezzo più alto di vite umane dopo Amatrice capoluogo. Una ferita che si respira nell’aria densa dei resti di quello che una volta era il centro del paese. Qui non ci sono più “zone rosse”, la scossa del 30 ottobre ha ridisegnato la geografia della distruzione, ampliando il suo raggio d’azione in modo esponenziale.
Il bancone da bar solitario e le bare riemerse dalla terra
Da Saletta si riprende la Salaria, e attraversandola in risalita si passa all’altro versante. È il versante di Torrita, che aveva quasi resistito alla botta del 24 agosto, ma che ha ceduto a quella di fine ottobre, crollando su se stessa. Il paese non c’è più: tra le macerie si scorge il bancone del bar, ancora intatto, gli sgabelli di fronte. E la porta del vicino ristorante, sommersa da sassi e polvere. Dall’altra parte della Salaria i danni al cimitero comunale sono sotto gli occhi di tutti, i loculi e i fornetti sono stati distrutti, e le bare sono visibili a occhio nudo. Quella dei cimiteri è una grande emergenza sommersa di tutto il territorio, da Torrita a Patarico, frazione interna ai piedi delle montagne, dove i danni sono ingenti, e dove quel poco di gente rimasta ha paura per l’inverno. “Si è tentato di fare in fretta - racconta una signora imbacuccata dentro maglioni e sciarpe - ma ciò nonostante si è fatto comunque troppo tardi, e ora servono risposte rapide prima del pieno inverno, altrimenti saremo costretti ad andare via”. Il cimitero del paese è devastato, le lapidi di famiglia accasciate al suolo, nell’abbandono più totale.
Di fronte a Patarico c’è Collemoresco, altro paradosso della tragedia del terremoto, quello di due paesi posti l’uno di fronte all’altro, che ora mostrano due volti completamente diversi dopo il sisma: il primo, pesantemente danneggiato, il secondo, appena scalfito. Almeno in apparenza, dal momento che il paese è ormai completamente deserto.
Si sale verso la montagna, passando per Domo, con il suo unico abitante residente, che non ha la minima intenzione di lasciare la sua terra. Salendo ancora si arriva alla remota frazione di Aleggia, una delle più alte del territorio (altitudine 1.208 metri). Già praticamente disabitato per quasi tutto l’anno, il paese rischia ora di spopolarsi per sempre, come la maggior parte delle frazioni di Amatrice. Dove il futuro, al di là dei proclami e delle premesse, è quanto mai incerto, e rischia di prendere una strada ben diversa rispetto a quella del capoluogo, a quella di Amatrice.