Roma - Orfana di padre già in tenera età, Anna (nome di fantasia) è cresciuta in un ambiente familiare numeroso e degradato, in un quartiere della periferia di Roma, senza beneficiare di protezioni o di riferimenti affettivi. Trascurata nei suoi bisogni primari, è stata abusata dai 10 ai 14 anni da un 40enne romeno che andava a prenderla a scuola ("ha smesso solo quando ho minacciato di denunciarlo"). Abbandonata di fatto da una madre disinteressata ("te la sei andata a cercare, è colpa tua se quello ha abusato di te"), è poi entrata in contatto con ladri e spacciatori della zona e all'interno di quel circuito è finita nelle mani di un pregiudicato albanese che a suon di botte l'ha praticamente ridotta in schiavitù costringendola a prostituirsi e a spacciare per lui. Un uomo che l'ha messa pure incinta e che non ha riconosciuto il ragazzino, tanto lui altri figli (forse venduti) li aveva avuti in Albania da altre prostitute. Insomma, sofferenza, angoscia e paura hanno segnato i primi venti anni di vita di Anna ma la sua è una storia dal lieto fine che merita di essere raccontata perchè lei ha avuto la forza e il coraggio di chiedere aiuto alle persone giuste che le hanno dato la possibilità di rielaborare in terapia i traumi vissuti, consentendole di tornare a vivere una seconda giovinezza e di guardare al futuro con fiducia e speranza.
La nuova 'normalità'
Adesso, ormai 30enne, Anna ha un impiego più o meno regolare in un call center e vive con un compagno con un lavoro stabile: il figlio, che il padre (l'albanese) minacciava di continuo di portare via se lei avesse rinunciato a prostituirsi, è stato dato in adozione. "Di lui ho notizie tramite Facebook, so che è felice, io forse non gli avrei potuto garantire un futuro veramente sereno", ha confidato la donna a Daniela Viggiano, la psicologa forense che l'ha seguita come un'ombra, per quattro anni, in questo percorso di recupero. Un cammino cominciato quando Anna è entrata in una comunità protetta sulla via Cassia su disposizione del Tribunale per i minorenni che aveva affidato il figlio ai servizi sociali. Lei, per questo bambino, era motivata a cambiare vita e a rompere con il passato. Gli inizi della permanenza in questa casa famiglia non sono stati facili: Anna manifestava disturbi del comportamento e della personalità piuttosto marcati, sentendosi ancora etichettata come 'la pazza o la 'puttana', sia per la sua presenza in famiglia di importanti patologie di tipo psichiatrico (di cui soffrono due fratelli) e sia per i suoi trascorsi sulla strada.
La psicologa: "un percorso lungo"
"E invece - ha spiegato all'Agi la psicologa - la vita in comunità e questo percorso terapeutico le hanno garantito quella protezione che non aveva avuto mai e quell'attenzione che le era sempre mancata. Abbiamo dato voce a una persona che aveva paura di chiedere aiuto perchè non sapeva da chi andare". Anna, piano piano, ha cominciato ad aprirsi, a raccontarsi, a fidarsi degli altri e di chi era disposto ad ascoltarla senza giudicare. Un giorno, alla dottoressa Viggiano, ha persino riferito che l'albanese (poi finito in carcere per lungo tempo per questioni di droga) e lo zio materno di lui uccisero una ragazza che si prostituiva assieme a lei ("era una mia amica, potevo esserci io al suo posto") per un banale regolamento di conti. Le sue dichiarazioni non hanno avuto un positivo esito giudiziario ma l'aver confermato tutto ad agenti della polizia (che fino ad allora chiamava con disprezzo 'guardiè) e a un magistrato è servito ad Anna per crescere e superare le diffidenze nutrite nei confronti delle istituzioni. "La maternità ha chiaramente aiutato Anna ad uscire fuori da questa situazione. Aver deciso di far nascere il figlio - ha precisato la psicologa - l'ha in un certo senso responsabilizzata. Sapere poi che l'ex compagno era in galera ha contribuito a darle ulteriore serenità, anche se il timore di essere rintracciata da quelli del suo clan non è mai venuto meno. Complice anche l'indifferenza di sua madre, Anna aveva elaborato nel tempo un'immagine di sè fortemente negativa e aveva finito per addossarsi la colpa degli abusi e dei maltrattamenti, subiti prima in ambito familiare e poi all'esterno. Cosa che le aveva impedito di costruire relazioni di fiducia stabili perchè il rapporto con l'altro era vissuto potenzialmente come pericoloso e fonte di possibile sofferenza".
"Guarire dai traumi e dagli abusi è possibile"
Dopo quella esperienza in comunità, Anna ha proseguito il suo percorso in semiautonomia (in un gruppo-appartamento con altre ragazze) per poi sistemarsi definitivamente con il nuovo compagno. Per Viggiano, "la storia di questa donna, che ha saputo reagire uscendo dal circuito perverso della violenza e della vittimizzazione, è la prova che guarire dai traumi e dall'abuso è possibile. Anche se oggi va detto che avere la possibilità di dare parola al dolore è diventato un lusso e avere la possibilità di accedere a spazi di ascolto terapeutici è ormai raro perchè centri che si occupano di questo, del contrasto alla violenza e della presa in carico delle vittime, sono sempre più scarsi sia per le donne ma soprattutto per i bambini".