Roma - Ancora un processo da celebrare davanti alla Corte d'appello di Roma. è quanto disposto dalla terza sezione penale della Cassazione, in relazione al crollo del palazzo di via Vigna Jacobini, avvenuto a Roma il 16 dicembre 1998, che provocò la morte di 27 persone, tra cui 5 bambini. La Suprema Corte ha infatti annullato con rinvio la sentenza pronunciata dalla Corte d'appello della Capitale, in sede di appello-bis, l'11 luglio 2012, che aveva assolto con la formula "perché il fatto non costituisce reato" l'unico imputato rimasto, Mario Capobianchi, il quale, all'epoca dei fatti, era amministratore della tipografia situata al piano terra dello stabile, che fu ampliata prima della tragedia. A ricorrere in Cassazione è stato lo stesso Capobianchi, per ottenere l'assoluzione "perché il fatto non sussiste". La Corte ha ritenuto fondato il suo ricorso, e definito "apodittiche e sprovviste di ogni riferimento scientifico od istruttorio" le "asserzioni" contenute nella decisione impugnata.
In particolare, si legge nella sentenza depositata oggi, i giudici di piazza Cavour "con riguardo alla decisiva questione del tasso di umidità" - che la prima sentenza d'appello (con la quale gli amministratori della tipografia erano stati condannati per disastro e omicidio colposi, verdetto annullato dalla Cassazione nel 2006) aveva riconosciuto "quale unica concausa del crollo addebitabile agli imputati" - osservano che la Corte d'appello, in sede di rinvio, "ha preso atto dell'impossibilità di eseguirne l'accertamento quanto al periodo antecedente ai lavori, ma è comunque pervenuta alla conclusione che il tasso medesimo era sicuramente diminuito", e questo proprio a causa "dell'ampliamento dell'attività tipografica". Affermazione, questa, "meramente asserita e non dimostrata", sostiene la Suprema Corte, la quale contesta anche il riferimento dei giudici d'appello-bis al "peculiare microclima venutosi a creare nel piano seminterrato con la progressiva trasformazione da artigianale ad industriale dell'attività tipografica" I giudici di 'Palazzacciò, dunque, ricordano che "nel reato omissivo improprio" il rapporto di causalità tra omissione ed evento "è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo, ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Quel che la sentenza non ha dimostrato - conclude la Cassazione - proponendo una motivazione viziata". (AGI)