Milano - Alberto Stasi, condannato a 16 anni di carcere, che sta scontando a Bollate, per l'omicidio di Chiara Poggi a Garlasco (Pavia), scrive al "Quotidiano Nazionale" e si paragona a "Tortora, Sacco e Vanzetti". Una lettera, sei facciate di fogli protocollo, in cui, ancora una volta, ribadisce la sua innocenza e parla della sua vicenda processuale come "di perniciosa spettacolarizzazione" e citando il commento del procuratore generale in Cassazione: "I fatti e le carte hanno sempre provato la mia innocenza e le nuove perizie fatte l'anno scorso avevano rafforzato questa verita'. Questo era il processo; io ho sempre saputo di essere innocente. Non nascondo di avere temuto l'assurdo epilogo che oggi sto vivendo, visto l'incomprensibile iter processuale che ho dovuto vivere. In situazioni come queste, le persone vengono esibite come trofei alzati al cielo dopo una vittoria. E' sempre stato cosi' e sempre sara', da Sacco e Vanzetti a Tortora".
Nella lettera, poi, Stasi scrive della vita nel carcere di Bollate e spiega che non "e' facile per un innocente che attendeva i giorni della sentenza con la speranza di ritornare libero, entrare in carcere. Sto cercando di inserirmi nella realta' carceraria. Il lavoro svolto da educatori, volontari e direzione penitenziaria e' encomiabile. La vita di un detenuto non e' solo una condizione fisica, ma e' anche (e soprattutto) mentale: il corpo puo' essere ristretto, la mente no. Non mi sento un detenuto. Mi sento un prigioniero". E Stasi conclude la sua lettera sottolineando che un dubbio lo assale: "In questi giorni tra tutti i miei pensieri ne prevale uno: un forte dubbio di non vivere in uno Stato di diritto"
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