I 40 milioni spesi dal Milan per strappare, si fa per dire, Bonucci alla Juve sono la conferma che il calcio è arrivato a un punto di non ritorno. Ricordo ancora con una punta di tenerezza quando l'allora presidente di Lega, Nizzola, oppose un garbato rifiuto alla mia proposta, sostenuta dalla Gazzetta dello Sport, di anticipare o posticipare Napoli-Milan, partita decisiva per lo scudetto, in programma il primo maggio, giorno in cui i giornali erano chiusi. "Mi dispiace, ma si intaccherebbe la sacralità del campionato che vuole in contemporanea tutte le partite”, mi disse con aria costernata il guardiano del tempio.
Sono passati 28 anni da quel giorno e come sapete il calcio è diventato uno spezzatino per le esigenze della TV che paga cifre astronomiche originando, tra l'altro, affari come quello di Bonucci. A me sembra uno sproposito pagare 40 milioni per un difensore trentenne (ma che dire dei 38 stanziati per Rudiger?) così come mi sfugge la solidità dei nuovi padroni del Milan, che sembrano possedere tesori senza limite in aperta opposizione ai cugini interisti, che invece paiono tirare la cinghia.
L'affare Bonucci, tuttavia, comprende un altro aspetto fortemente trasgressivo per certe regole non scritte del pallone: un giocatore che viene dall'avere vinto sei scudetti consecutivi con la Juve passa da un giorno all'altro sull'altra sponda, andando teoricamente a rinforzare una diretta concorrente, è qualcosa che colpisce anche il cuore di chi fa il tifo con un sentimento. E, come diceva la simpaticissima Simona Marchini ai tempi di “Avanti tutta”, “non si scherza con i sentimenti”.
Enrico Maida
SportSenators.it