Ricordate frasi tipo “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”? Stiamo parlando ovviamente dell’Uomo ragno, di Spider-man, il ragazzo diventato supereroe dopo la puntura di un ragno che combatte il crimine da solo a New York mantenendo la sua identità segreta di studente (in realtà nel fumetto Peter Parker è un giovane fotoreporter). Il cinema, dopo i dimenticabilissimi film con Nicholas Hammond che hanno fatto seguito alla serie tv degli anni ’70, lo ha raccontato con grande successo, a partire dal 2002 con la trilogia di Sam Raimi con Tobey Maguire prima e con le due pellicole di Marc Webb con Andrew Garfield poi.
Era il tempo in cui la Marvel non aveva ancora fatto il suo ingresso maestoso nel cinema (Marvel Cinematic UIniverse) portando e aggregando i supereroi in blockbuster miliardari da ‘Iron-man’ a ‘Captain America’ fino a ‘Thor’, ‘Hulk’ e ‘I Vendicatori’. Poi le cose sono cambiate e anche Spider-man è entrato a far parte della scuderia Marvel, malgrado sia la Sony a detenere ancora i diritti. E così arriva ora in sala un film prodotto dalla Marvel e distribuito dalla Sony. ‘Spider-man: homecoming’ diretto da Jon Watts e interpretato da Tom Holland. Ed è una piccola rivoluzione.
Spider-man, un 15enne 'adottato' da Iron-man
Innanzitutto il nuovo supereroe ha 15 anni e li dimostra tutti: è immaturo, impulsivo, irresponsabile, generoso, timido e impacciato con le ragazze, idealista, ingenuo. In una parola: normale. Poi scompare la figura di zio Ben ed è quasi irrilevante quella di zia May, mentre potente (e presente) è quella di Tony Stark-Iron-man che fa da mentore al ragazzo (lo avevamo visto in ‘Captain America: civil war’ portarlo con sé a combattere) fornendogli una calzamaglia superattrezzata che ricorda la sua armatura, con tanto di computer interattivo parlante. Infine il capolavoro: il nemico, il villain, è l’Avvoltoio, l’uomo uccello interpretato da Michael Keaton. E il parallelo con ‘Birdman’ di Inarritu è inevitabile.
Michael Keaton e Jon Watts sul set di 'Spider-man: homecoming'
E’ ovvio che non c’è alcun legame tra il suo ruolo nel film premiato 4 volte con l’Oscar nel 2015 e Spider-man, ma il gioco associativo merita un applauso. Come, ovviamente, l’interpretazione sempre superiore dell’attore americano, il miglior villain cinematografico dopo i due Jocker di Jack Nicholson e Heat Ledger.
Il 'bimbo ragno' e il romanzo di formazione
Il film di Watts riesce a integrare perfettamente la visione classica iperadrenalinica del supereroe che combatte, distrugge la città, soccombe e poi risorge e vince, con quella originale del ragazzino che ha grandi sogni, che vuole essere come il suo eroe (Iron-man) e vorrebbe crescere in fretta, che soffre per amore e crede nell’amicizia e nella famiglia. Una miscela che stavolta funziona perfettamente e che rende questo ‘Spider-man: homecoming’ forse il migliore della serie dedicata all’Uomo ragno. Anche perché, come dice Tony Stark, per la prima volta il supereroe viene raccontato nella sua dimensione adolescenziale: Iron-man lo chiama ‘bimbo ragno’, è non è solo una battuta.
Robert Downey Jr. e Tom Holland in una scena di 'Spider-man: homecoming'
Proprio da questa definizione, infatti, si deve partire per costruire lo Spider-man che verrà e che di certo sarà personaggio fondamentale nelle prossime pellicole della Marvel. Si può parlare, dunque, di romanzo di formazione. Alla fine del film, infatti, la crescita del ragazzino Peter Parker è evidente e sorprende lo stesso Tony Stark (che forse non è mai cresciuto veramente).
I tre pilastri del film
Ultima nota sugli attori. Detto della prova maiuscola di Michael Keaton, da sottolineare quella di Tom Holland. Il ragazzino che raccoglieva l’eredità pesante di Maguire e Garfield se la cava magnificamente e forse meglio dei suoi predecessori riesce a dare umanità e dimensione adolescenziale al suo personaggio, il più giovane dei supereroi, un ragazzino con superpoteri che comunica simpatia e talvolta dfa tenerezza per la sua ingenuità. Del terzo uomo, Tony Stark alias Robert Downey Jr., si può solo dire che la sua presenza risulta tutt’altro che marginale e, malgrado sia limitata, detta il ritmo del film ed è come un grande mantello che avvolge la storia. Lo spettatore sa che Iron-man ti vede, che lui c’è ed è è pronto a intervenire in soccorso del ‘bimbo ragno’. Se serve.
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