Un progetto da un miliardo di dollari per dare tablet e smartphone agli studenti delle scuole è stato ritirato. E non in un posto qualunque, ma nella culla della tecnologia americana: la California. La decisione presa dal distretto scolastico unito di Los Angeles è la spia dei limiti dell'introduzione di modelli interpretativi presi da altri ambienti - come quello produttivo - nel mondo della scuola.
Le tecniche aziendali in classe non funzionano
L'allarme è stato innescato dal generale scadimento della cultura educativa nel panorama dell’istruzione, dove si perseguono solo obiettivi di breve periodo. Un atteggiamento, però, che sta iniziando a manifestare i propri limiti, se in varie realtà del mondo industrializzato si sta recedendo dall’impiego massivo della strumentazione tecnologica nelle scuole.
Gli insegnanti di Los Angeles coinvolti nel progetto poi annullato lamentano lo scarso valore scientifico dell’iniziativa che si basava essenzialmente sull’aspettativa, rivelatasi vana, che semplicemente disporre di uno strumento tecnologico sostenga la motivazione ad apprendere e limiti le diseguaglianze sociali (Philip e Garcia, 2013).
Soldi che potevano essere spesi meglio
Molto ambizioso e pretenzioso pensare che la mera distribuzione di costosi beni di consumo possa risolvere conflitti sociali profondi, derivanti da problematiche ben più complesse. Gli insegnanti del distretto statunitense in questione dichiarano che, se i politici locali definiscono strategie educative allo scopo di sollecitare le capacità creative dei giovani, perché divengano persone propositive dotate di spirito critico, e si adoperano per avere a disposizione docenti capaci, in grado di fornire proposte individualizzate per tutti, non è certo questo il modo di procedere: “attualizzare il potere di trasformazione attribuito alle tecnologie digitali richiederebbe che gli amministratori locali abbandonassero l’incessante e costante pressione per una standardizzazione taglia unica, utile a tutto e tutti”.
Senza contare che, come lamentano gli autori dell’articolo citato, le risorse investite in questo progetto fallimentare sono state sottratte alla comunità locale che ha già subito forti danni dalla crisi economica.
Sul fronte delle prestigiose università della Ivy League, si registra, poi, un consistente passo indietro rispetto al concetto di “apertura”, verso l’esterno, grazie alle nuove tecnologie, in termini sia di disponibilità di accesso Internet, sia di sviluppo di corsi MOOC, Massive Open Online Courses, che sembravano essere la risposta democratica alle accusa di elitarismo delle più ambite realtà accademiche statunitensi.
I social network distraggono dallo studio... ma non sempre
Riguardo all’opportunità di limitare l’accesso ad Internet nei contesti universitari, sono vari gli studi (Kirschner 2010; Junco 2011; Rosen 2013; Anderson 2013) che evidenziano quanto l’iper-connessione da parte degli studenti (sempre più inclini all’operare in modalità multi-tasking su vari social networks, mentre svolgono compiti educativi, quali assistere ad una lezione o studiare per un esame) porta a un consistente abbassamento della capacità di concentrazione e dei livelli di apprendimento.
Se, invece, l’uso dei social networks è finalizzato al perseguimento di obiettivi didattici, ovvero se è coerente con quanto si sta facendo ed è debitamente “guidato”, l’impatto negativo viene annullato (Junco, 2011), a testimonianza del fatto che avviare progetti di ricerca educativa fondati su ipotesi conoscitive coerenti e debitamente strutturate consente un uso pertinente della tecnologia.
Il flop delle lezioni online
Sul fronte, invece, dell’offerta MOOC da parte di università del calibro di Princeton, si registrano clamorosi passi indietro (Parry, 2013), adducendo motivazioni politiche e di efficacia didattica, rispetto all’uso di tali corsi nell’istruzione universitaria in rete, finché non saranno chiare e definite le modalità di impiego dei contenuti forniti. Le potenzialità di tali corsi, infatti, sono alte, ma solo se accompagnate da interventi educativi adeguati, evitando un approccio, cosiddetto one-size-fits-all, taglia unica, appunto, troppo generalistico e destinato inevitabilmente a perdere efficacia nel tempo.
Per approfondire:
- Kirschner, P. e A. Karpinski. “Facebook and Academic Performance” in Computers in Human Behavior, November 2010, Vol. 26, Issue 6, 1237-1245, http://dx.doi.org/10.1016/j.chb.2010.03.024, u.a. 03.04.2017.
- Junco R., “Too Much Face and not Enough Books: the Relationship between Multiple Indices of Facebook Use and Academic Performance”, in Computers in Human Behaviour, 2011,vol. 28, Issue 1, 187-198.
- Anderson J. and L. Rainie, “Millennials Will Benefit and Suffer Due to Their Hyperconnected Lives” in Pew Internet & American Life Project report, February 2013, http://pewinternet.org/Reports/2012/Hyperconnected-lives.aspx, u.a. u.a. 03.04.2017.
- Rosen L. D., L. Carrier; N.A. Cheever, “Facebook and Texting Made Me Do it: Media-induced Task-switching while Studying” in Computers in Human Behavior, 2013, 948-958, http://dx.doi.org/10.1016/j.chb.2012.12.001, u.a.