In una serie di post, cominciando da questo, vorrei spendere un po' di tempo per riflettere più approfonditamente sulla situazione della ricerca e dell’università in Italia, e in generale su come un italiano che ha vissuto all'estero li osserva "da lontano", per così dire.
Ma prima di cominciare questa riflessione, è per me importante dire che sono passati molti anni da quando ho lasciato l'università italiana. Vorrei perciò, brevemente, raccontarvi la mia esperienza, anche per mettere in prospettiva ciò che scrivo.
Mi laureai in Ingegneria Aeronautica e Aerospaziale al Politecnico di Torino nel 1998. Poi dieci mesi di servizio militare, allora obbligatorio, presso la Scuola di Applicazione d'Arma di Torino, di cui ricordo ancora con grande nostalgia le bellissime architetture della sede, un palazzo cinquecentesco nel cuore della mia Torino. Ricordo anche con grande affetto i tanti amici incontrati lì.
Nel settembre 1999, arrivai a Stanford per cominciare un master e poi un dottorato in ingegneria meccanica, che terminai rispettivamente due e cinque anni dopo.
Non sono più tornato indietro, ma non mi considero un cervello in fuga dall'Italia, forse perché il mio arrivo negli Stati Uniti è stato piuttosto fortuito. Dopo la laurea conobbi un professore di Stanford durante un workshop organizzato dall'università di Pisa presso la Certosa di Pontignano, non lontano da Siena. Mi invitò a Stanford per un master e per mettermi alla prova per un dottorato di ricerca. Non feci nessun'altra domanda presso altre università americane o estere. Non sentivo il disperato bisogno di abbandonare l'Italia, anche se l'opportunità di passare un po' di tempo in America era allettante.
La mia specialità è la meccanica computazionale, un settore scientifico che si colloca all'interno di quel triangolo ideale ai cui vertici vi sono l'ingegneria (o, a volte, la fisica), la matematica e l'informatica. Con l'aiuto del mio team di ricerca a Duke, sviluppo algoritmi per la simulazione di problemi con equazioni alle derivate parziali. Tipiche applicazioni di questi metodi numerici sono la meccanica dei fluidi, delle strutture, e l'interazione fluido-struttura, così come la simulazione dei flussi in mezzi porosi e della geomeccanica.
Dopo il dottorato, dal 2004 al 2012 fui assunto come ricercatore nel centro di informatica e calcolo numerico CSRI presso i Sandia National Laboratories di Albuquerque (New Mexico). Per chi non li conoscesse, i Sandia Labs sono la ex-divisione degli ingegneri di Los Alamos, che fu trasformata in un laboratorio separato negli anni cinquanta.
Poi nel 2012 decisi di tentare la via accademica e fui assunto a Duke University, in Durham (North Carolina), in qualità di Professore Associato nei dipartimenti di ingegneria civile e ambientale, ingegneria meccanica a scienza dei materiali.
Come detto, ho avuto la possibilità di fare esperienze sia in centri di ricerca governativi che università private, ed ho avuto esperienze da studente al Politecnico di Torino, a Stanford, e, per un breve periodo di visita, all'Università del Texas in Austin; ho quindi elementi per confrontare il sistema universitario privato e pubblico americano con quello pubblico italiano.
Spero di ritrovarvi presto nei due blog che seguono, un primo sull’idea di usare l’analisi di social network per analizzare l’università d’eccellenza in Italia, e un secondo sull’idea di privatizzare l’università in Italia.
A presto, un caro abbraccio a tutti voi e all'Italia,
Guglielmo