Siamo nel pieno della curva esponenziale della singolarità: negli ultimi 100 anni la popolazione del pianeta è cresciuta più che nei 5.000 anni precedenti. Nel 2015 l’uomo ha prodotto più transistor di quanti chicchi di riso abbia prodotto la natura: così un’informazione gira il pianeta in 3 decimi di secondo mentre cinquanta anni fa ci metteva 3 settimane. Come conseguenza ogni anno produciamo più dati di quanti ne siano stati prodotti nel decennio precedente.
L'impatto delle tecnologie sul lavoro preoccupa solo i Paesi ricchi
Ma la disponibilità di energia, risorse idriche, digitali e sociali non è uniforme nel pianeta e le nazioni ricche e tecnologiche che al momento sono impegnate a discutere dell’impatto delle tecnologie sul lavoro, della crescita del Pil e dei bisogni del welfare, rappresentano una minoranza della popolazione del pianeta. Il resto, cioè la maggioranza, cerca di crescere a tappe forzate o, peggio, non riesce a crescere.
Basta ricercare su un qualsiasi motore di ricerca la mappa dell’indice di sviluppo umano (un parametro macroeconomico dato dal prodotto degli anni di scolarizzazione, del Pil pro-capite e dell’aspettativa di vita) per vedere chiaramente che i circa 30 conflitti che affliggono il nostro pianeta nascono tutti nelle zone a più basso indice. Da qui partono gli imponenti flussi migratori che tanto preoccupano le nazioni più benestanti. E’ una forma di termodinamica sociale, in cui gli esseri umani migrano verso paesi meno ”incandescenti”, esattamente come le molecole di un fluido tendono a muoversi da una zona calda a una più fredda per riequilibrare la temperatura media.
Rivedere i paradigmi di sviluppo, partendo dai robot
Allora dovremmo chiederci se invece di temere le macchine e i robot, che a livello locale potrebbero farci perdere dei posti di lavoro, non sia meglio cominciare a rivedere i nostri paradigmi di sviluppo a livello globale. Il ruolo della tecnologia dovrà essere quello di alzare il livello medio di tutti riducendo il gap fra chi sta meglio e chi sta peggio. Questo vuol dire intervenire sul ciclo dell’acqua, sul ciclo dei rifiuti, sulle tecnologie del cibo, sul recupero dei materiali, sull’ottimizzazione dei processi industriali per la parsimonia nell’uso delle risorse globali. L’impatto indiretto sarà sull’ambiente, sulla sostenibilità e sull’economia globale.
Se i robot saranno utilizzati non per rincorrere (solamente) una crescita del Pil nel breve termine, ma per ottimizzare processi che nel lungo termine abbiano un impatto positivo per tutti, forse avremo trovato il loro naturale e più equilibrato utilizzo. Se l’impronta idrica di un foglio di carta da stampante è di 10 litri di acqua dolce, allora la vera sfida tecnologia è sviluppare processi che riducano drasticamente questi costi di materie prime consentendo da qualche altra parte l’uso di quella stessa acqua per qualcosa di più importante.
Puntare a una societa di Homo Sapiens 2.0
Per certi versi la vera rivoluzione sta nel chiarirci le idee riguardo la società che vorremmo nel ventiduesimo secolo. Quindi non per noi ma per i nostri pronipoti. Una società di Homo Habens, a molte velocità, dove la tecnologia è strumento peculiare di crescita economica a breve termine basato sul sistema “chi prima arriva prima si serve”, oppure una società dell'Homo Sapiens 2.0 dove ci sarà consapevolezza che ogni azione ha una conseguenza?