In molti credono che parlare di parità per le donne ancora oggi sia un concetto ormai desueto, per non dire anacronistico. Ma è proprio così?
Sabato scorso ho co-organizzato un convegno promosso dall’Associazione Rosa Digitale, movimento nazionale per le pari opportunità in ambito tecnologico, dal titolo “Donne, scienza, tecnologia, linguaggio”: un momento di riflessione e confronto sul tema del rapporto delle donne con le tecnologie, la scienza, la ricerca. Presenti studiose e esperte in campo politico, scientifico e culturale: dall’onorevole ex ministra professoressa Maria Chiara Carrozza all’esperta su questioni di genere Anna Loretoni e alla docente collaboratrice dell’Accademia della Crusca Cecilia Robustelli.
Alcune di queste informazioni sono state rese note recentemente, per la 'Giornata Internazionale per le donne nella scienza', promossa dalle Nazioni Unite l’11 febbraio con lo scopo di portare parità di accesso e partecipazione nella scienza.
Le donne infatti rivestono ancora ruoli marginali nella ricerca e, rileva il Centro regionale di informazione delle Nazioni Unite sul suo sito, continuano ad essere escluse da una piena partecipazione nella scienza. In una indagine condotta in 14 Paesi sulla carriera universitaria delle donne, infatti, si evidenzia che:
- solo il 18% consegue la laurea triennale,
- l'8% quella specialistica e
- appena il 2% arriva al dottorato di ricerca.
Se poi si guarda in dettaglio la situazione in Italia il quadro è ancora più deprimente: la Fondazione L'Oreal per le donne e la scienza (che insieme a UNESCO ha istituito un vero e proprio manifesto per le donne nella scienza, “Women For Science”, cui ogni anno corrisponde l’assegnazione di un premio per il riconoscimento dell’operato delle ricercatrici in tutto il mondo e per stimolare e favorire la formazione di giovani ricercatrici), ha indicato che l'Italia è il Paese europeo con più pregiudizi nei confronti delle donne nella ricerca: addirittura 7 italiani su 10 sostengono che le donne non possiedano le capacità necessarie per accedere a occupazioni di alto livello in ambito scientifico.
Pregiudizi che trovano conferma in alcuni fatti. In Italia come in molti altri Paesi la presenza delle donne negli studi scientifici segue un andamento a piramide, con una base ad ampia partecipazione femminile a livello delle scuole superiori (oltre il 50% degli studenti), che si va assottigliando man mano che si procede verso il vertice ovvero verso posti di responsabilità e potere decisionale. Le donne diventano quindi solo il 30% dei professori associati, il 20% dei professori ordinari e fra gli 80 rettori italiani il numero delle rettrici sfiora appena le dita di una mano.
L'esempio della Normale di Pisa
Ha stupito un po’ e creato pareri contrastanti pochi mesi fa la decisione di Vincenzo Barone, rettore della Normale di Pisa, di selezionare nei concorsi, a parità di risultati tra concorrenti, le concorrenti donna, ritenendo imbarazzante l’esiguità della presenza femminile nel proprio ateneo, che per altro persino diminuisce con il crescere dei ruoli rivestiti. C’entrano le quota rosa? Lui sostiene di no e che sia piuttosto una questione di forma mentis.
Da piccola come tutti sognavo ad occhi aperti. Io sognavo un mondo bello. Decisi di iscrivermi a ingegneria, perché ero convinta che gli strumenti tecnico-scientifici fossero quelli con cui meglio potessi nel mio piccolo contribuire a renderlo migliore, questo mondo. Avevo fatto il liceo classico e non capivo nulla di matematica, o poco. Il sabato pomeriggio passeggiavo con le amiche in minigonna. Gli amici mi apostrofavano: “Tu? A ingegneria?”, ritenendo che quel tipo di studi non si adattasse a me. Io ero animata da un senso di sfida: se lo facevano loro, potevo farlo anch’io.
Perché la parità di genere è ancora troppo lontana
Il punto è che siamo ancora molto lontani dalla parità di genere, molto più di quanto non ce ne rendiamo conto. Ci sono i casi - terribili - di violenza sulle donne, conseguenze di retaggi culturali non ancora superati, oltre che di casi umani specifici e disperati, ma c'è anche una forma sottile e diffusa, la più perversa, di 'sessismo benevolo', afferma la professoressa Loretoni della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, quello che sostiene un'immagine positiva della donna allo stesso tempo relegandola a subalternità nella vita quotidiana e professionale, e che richiede nuova forza e azioni precise per contrastarla e invertire una volta per tutte la tendenza ai pregiudizi e agli stereotipi con i quali siamo cresciuti e nei quali ancora, spesso inconsapevolmente, viviamo.
Studi testimoniano che le donne cominciano a perdere fiducia in se stesse già a partire dalle medie. Un fattore sconcertante che va combattuto forse prima che promuovere la vocazione scientifica, provando ad andare controcorrente a qualsiasi pregiudizio, ma soprattutto stimolando alla fiducia nelle proprie capacità e sfatando miti e preconcetti di cui spesso non è nemmeno facile rendersi conto.
La favola della principessa che vive all’ombra del principe facciamocela raccontare meglio. Per questo penso che gli educatori abbiano oggi più che mai un ruolo e una responsabilità fondamentali, avendo la possibilità di aprire la via a forme diverse di narrazione della femminilità. Tra i compiti del “Trasferimento tecnologico”, di cui mi occupo e che è una delle missioni dell’università oltre a educazione e ricerca - quella che consente di trasferire i risultati delle attività di ricerca e valorizzare la conoscenza prodotta per trasformarli in applicazioni utili a migliorare la qualità di vita dell’ ‘Uomo’, vi è anche quello dello Sviluppo Locale, che si può realizzare attraverso forme di sensibilizzazione culturale che rientrano nel cosiddetto ‘Public Engagement’, dove ‘engagement’ è una parola inglese che vuol dire ‘fidanzamento’: non quello col principe, ma il fidanzamento con la scienza.
L’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del CNR (l’IRRPS) sostiene che nel nostro Paese solo il 25% dei ricercatori è donna, e solo 1 su 4 riesce a raggiungere posizioni professionali leader: dati che dimostrano da una parte quanto siamo ancora lontani dalla parità di genere anche nel mondo della ricerca, ma dall’altra che stereotipi e pregiudizi ancora molto radicati nella nostra società vanno a mio avviso combattuti nelle donne stesse, che devono essere sensibilizzate, stimolate ed educate ad avere fiducia nelle proprie capacità e a sfidare qualunque pregiudizio che le allontani dai loro sogni.
Superare il pregiudizio di genere è il primo passo per superarli tutti
Promuovere e sensibilizzare alla vocazione scientifica delle donne, stimolarle a una presa di coscienza delle proprie potenzialità, è un impegno sociale che è a mio avviso giusto prendere per chi detiene gli strumenti della conoscenza, non solo per concorrere a invertire la tendenza di pregiudizi e pratiche correnti, ma anche e soprattutto perché dinnanzi a un ripensamento dei paradigmi di sviluppo, resosi necessario dinnanzi agli enormi cambiamenti epocali, sociali, antropologici cui il progresso ci pone, quello del genere non è assolutamente un fattore accessorio né secondario, e costituisce un primo importante strumento per lottare contro ogni forma di disuguaglianza, anche quelle apparentemente ancora invisibili.