Le aspettative che abbiamo intorno a una persona o a un fatto possono essere un forte condizionamento. Facciamo un esempio. Una coppia ha due figli, uno da sempre bravissimo a scuola, studioso e obbediente, uno invece è il Gian Burrasca di casa: zero studio, irrequietezza mille e una fila di cattivi voti. Un giorno tutti e due tornano a casa con un 6 in pagella? Verso il figlio studioso scatta l’interrogatorio: come mai, cosa hai sbagliato, non ce lo aspettavamo. Per l’altro, scatta invece l’incoraggiamento: vedi che ce la puoi fare, bravo continua così. Perché le aspettative sono diverse e ci inducono a comportarci diversamente nelle stesse situazioni. Quando si parla di disabilità è facile cadere nelle trappole tese dall’immaginario.
Prendiamo due uomini sulla cinquantina: l’uomo A è rimasto vittima di un incidente stradale, per mesi è rimasto paralizzato in ospedale. Ora, grazie ad ore e ore di fisioterapia, comincia a muoversi con il deambulatore. L’uomo B, invece, è stato colpito da una malattia agli occhi: all’inizio aveva solo delle macchie nere nella visuale, poi non riusciva più a leggere le parole al pc e più volte è caduto inciampando sul marciapiede. E’ stato dichiarato legalmente cieco.
L’uomo A, una mattina ha deciso di mettere alla prova i suoi progressi. Così è uscito di casa con il deambulatore, si è fermato in edicola a prendere il giornale, si è seduto nella panchina di fronte a prender fiato e tornando a casa si è fermato al bar. Qui ha incontrato degli amici che lo hanno ricoperto di complimenti per quella sua prima uscita in completa e solitaria autonomia: un grande risultato. Per tutti è ‘diversamente abile’, perché oggi si dice così, e l’accento va messo sulle sue abilità.
L’uomo B, dopo aver passato qualche mese chiuso in casa tra la paura di cadere e il disagio per questa sua nuova condizione, ha trovato una terapista che gli ha dato coraggio e spiegato come riuscire ad usare la capacità residua di vedere lateralmente. Così, dopo mesi di esercizi, ha deciso di mettersi alla prova: ha preso il sacchetto della spazzatura, ha aperto la porta di casa e si è diretto con lentezza ma decisione verso il cassonetto. Una volta arrivato alla meta ha fatto esattamente come gli era stato insegnato e ha preso i bordi esterni del cassonetto come punto di riferimento e vi ha lanciato dentro la spazzatura. Goal! Forte di questo piccolo successo, ha deciso di fare un passo in più e di recarsi verso il bar sotto casa, lasciandosi guidare dalle voci e dalle insegne luminose. Quei neon, ora illeggibili, sono comunque un riferimento prezioso che ora ha imparato a seguire. Si è fermato un attimo prima di entrare ripetendo tra se ‘ricorda lo scalino’, ed è entrato. E’ andato avanti così per alcuni giorni, una svolta in quelle giornate diventate all’improvviso troppo lente, fin quando ha scoperto che qualcuno lo aveva fotografato al bar e sui social lo chiamavano ‘falso cieco, ladro e falso invalido’. Così l’uomo B si è chiuso in casa ed è caduto in depressione, lasciando anche la terapia di riabilitazione: a che serve superare i propri limiti se poi ti accusano di essere un truffatore?
Perché le persone del bar si sono comportate così diversamente? Forse perché il loro immaginario prevedeva (cioè vedeva a priori, considerava come possibile) che il cieco debba girare per forza con il bastone, il cane e gli occhiali neri. Nessuno lo ha chiamato ‘diversamente vedente’, perché è ‘non vedente’ e dunque ci si aspetta, è previsto, che non veda e non faccia cose da vedente.
L’immaginario si può cambiare: alcuni aggiornamenti mentali si possono scaricare a questo link.