Probabilmente non ve ne siete accorti, ma lunedì 30 gennaio in Italia è stata celebrata la giornata della privacy, il #privacyday. Si fa in tutto il mondo da una decina di anni il 28 gennaio ma da noi si è ritenuto che già il tema appassiona pochissimo opinione pubblica e giornalisti: fare un convegno di sabato equivaleva ad avere la sala vuota. E così si è fatto di lunedì (il convegno). Eppure la privacy al tempo di Internet è una delle sfide più difficili che abbiamo davanti: si tratta di stabilire un controllo su che fine fanno i nostri dati in rete; un bilanciamento sempre più difficile fra sicurezza e libertà durante il terrorismo; e capire dove si ferma il confine fra democrazie liberali e sorveglianza digitale di massa (avete presente le cose che ha denunciato Edward Snowden? Ecco, quelle).
La premessa di tutto è nota ma vale la pena di ribadirla: siamo sempre più connessi alla rete e vivendo connessi lasciamo ovunque tracce della nostra attività. Quelle tracce digitali contribuiscono a creare la nostra identità digitale, un “oggetto” che alimenta il business di Facebook e Google, per citare i casi più famosi, che si arricchiscono vendendo i nostri profili agli inserzionisti pubblicitari. Può sembrare la solita vecchia storia della pubblicità e dei target, ma in realtà è cambiato tutto. I target non esistono più, esistono i profili individuali che Internet consente di scovare con una precisione inimmaginabile: cerchi uno studente di 24 anni appassionato di Juve e residente in un paesino del Sud? Facebook sa dov’è. Oppure una casalinga spendacciona in una grande città? Facebook sa anche questo.
Il punto non è solo il business che però fa sì che gli uomini più ricchi del pianeta siano tutti o quasi in Silicon Valley. Il punto è che chi ha quei dati ha il vero potere del mondo, perché, sapendo virtualmente tutto di chiunque, può orientare l’opinione pubblica, influenzare le elezioni politiche, addirittura prendere il controllo delle istituzioni. “Le democrazie sono indebolite”, ha detto il Garante Antonello Soro. Meglio tardi che mai, ma ci permettiamo di aggiungere che lo sono anche perché a volte sono le grandi potenze, come gli Stati Uniti o la Russia, ad attuare programmi di sorveglianza digitale di massa. Entrano nei nostri pc e nei nostri telefonini. E’ già successo, non è fantascienza. E su questo non mi ricordo interventi ficcanti del Garante.
Per tutti questi motivi la difesa della privacy è importante. Anzi fondamentale. Come farla? Più che con i divieti, occorre investire nella consapevolezza degli utenti. Spiegando a tutti cosa succede quando postiamo qualcosa in rete o navighiamo su un sito web. Che tracce lasciamo. E non basta fare un convegno una volta all’anno: queste cose andrebbero insegnate nelle scuole e in tv. Tutti i giorni. Perché le leggi e i divieti non servono a nulla se gli utenti non hanno un minimo di cultura digitale quando sono online. Ma la Rai e il Ministero dell’Istruzione su questo purtroppo dormono un sonno profondo.