La questione della post-verità ci sta sfuggendo di mano. Nonostante sia un tema serissimo e che riguarda tutti perché sulle bufale non si costruisce nulla di buono. E nonostante nessuno possa tirare la famosa prima pietra del Nuovo Testamento, perché tutti abbiamo in qualche modo peccato: i politici, che di bufale a volte sono spacciatori incalliti; i giornalisti, che non sempre fanno la fatica di verificare una notizia; e i lettori, che quasi sempre condividono sui social sulla base dei titoli, senza leggere i post e senza chiedersi da chi provengano le notizie, basta che confermino la propria visione del mondo. Insomma, un pasticcio. Dal quale non si esce con lo sgangherato derby a cui assistiamo in queste ore: da una parte chi punta l’indice contro il web dove tutto è permesso (anche questa una falsa notizia, peraltro); e dall’altra chi pensa a orrendi tribunali del popolo invocati da Beppe Grillo per punire i giornalisti. Quando per uscirne non servono censori o gogne pubbliche, ma un giornalismo migliore che si guadagni ogni giorno la fiducia dei lettori.
La lezione in queste ore viene da un piccolo quotidiano americano, il Knoxville News Sentinel che prima di Natale ha pubblicato la storia del bimbo gravemente malato e morto fra le braccia di un Babbo Natale in ospedale. Era il suo ultimo desiderio. Storia strappalacrime che ha fatto il giro del mondo in un baleno. Sui siti più importanti, dalla BBC alla CNN che hanno intervistato il Babbo Natale, un ingegnere che recita questo ruolo da sei anni. Poi il direttore del News Sentinel ha chiesto di verificare la storia: in tutti gli ospedali del Tennessee. Ma nessuno l’ha confermata. Nessuno. E allora ha scritto un post per dire: non possiamo dire che la storia sia falsa, ma nemmeno che sia vera. Scusateci. Un atto di sincerità, che trasforma i giornalisti non in portatori infallibili di verità (giacché non lo siamo), ma in cercatori instancabili di fatti. Ecco, riprendendo una bellissima canzone di Elton John, sorry, scusa, sembra sempre la parola più dura da pronunciare. Eppure è la prima per uscire davvero dall’era della post-verità.