Tra l’attentatore di Berlino ucciso nel milanese e il dirottamento dell’aereo libico su Malta, abbiamo altro a cui pensare, forse. Magari, se abbiamo in tasca obbligazioni del Monte dei Paschi di Siena, al futuro dei nostri risparmi. Ma oggi in Italia è un giorno importante: perché 250 anni dopo la Svezia e 50 anni dopo gli Stati Uniti, anche da noi entra in vigore il FOIA. FOIA sta per Freedom of Information Act. Ed è uno strumento, potentissimo, per ottenere informazioni pubbliche. Quali? Tutte, teoricamente. Il principio base è che tutte le informazioni e gli atti della pubblica amministrazione debbano essere pubblici e consultabili da chiunque a meno che non vi siano gravi motivi per opporre un segreto. “Una riforma epocale” la definisce il presidente dell’Autorita anticorruzione (ANAC) Raffaele Cantone che il 28 dicembre pubblicherà le linee guida. Una riforma che sarà complicato attuare, inutile negarlo, perché da oggi gli uffici pubblici hanno l’obbligo di rispondere e collaborare alle richieste di tutti (non più solo dei soggetti interessati da un provvedimento); e non sono attrezzati per farlo. Ma vale la pena di provarci, vediamo perché.
E’ grazie al FOIA che in questi anni negli Stati Uniti sono state realizzate alcune delle più importanti inchieste giornalistiche. Una, quella sugli abusi sessuali di molti preti di Boston, è diventata un film, Spotlight, che ha vinto l’Oscar nel 2015. Ma anche il famoso caso delle email di Hillary Clinton, che ha fortemente penalizzato la corsa del candidato democratico alla Casa Bianca, è esploso grazie al FOIA redatto da un giornalista che ha ottenuto il diritto di consultare tutte le email che la Clinton aveva mandato e ricevuto quando era segretario di Stato usando un server privato. E persino nel caso di Ustica grazie al FOIA americano si è potuto aggiungere qualche tassello importante per capire cosa accadde nei cieli italiani il 27 giugno 1980.
Ora anche noi abbiamo un FOIA. Lo abbiamo, va detto, perché lo ha fortemente voluto l’ex presidente del consiglio Matteo Renzi; e perché il ministro Marianna Madia, in un dialogo serrato con la società civile che ha fatto uno splendido lavoro, lo ha costruito in modo da ridurre al minimo sia le eccezioni che i limiti. Abbiamo un buon FOIA, ci è stato riconosciuto alla riunione mondiale dell’Open Government Partnership a Parigi due settimane fa. Abbiamo un buon FOIA e dobbiamo usarlo (qui Ernesto Belisario spiega bene come funziona). Perché un governo aperto e trasparente funziona meglio e si guadagna ogni giorno la fiducia dei cittadini.
Per questo da oggi nel cantiere di AGI entra anche il FOIA e apriamo una nuova sezione, Inchiesta Italia, per fare inchieste collaborative usando lo strumento che da oggi abbiamo: la possibilità di chiedere degli atti e fare una indagine a partire dai documenti e non dai si dice.
Inchieste collaborative vuol dire che vogliamo collaborare. Che mettiamo una grande agenzia di stampa, con una redazione diffusa sul territorio, a disposizione di chi voglia fare una inchiesta giornalistica. Dei cittadini, prima di tutto, che possono suggerirci gli argomenti; ma anche dei tanti free-lance, che possono proporsi per fare il lavoro con il supporto di AGI.
Non siamo i primi a voler fare inchieste di questo tipo. Tra le migliori di questi ultimi anni mi vengono in mente quelle della giornalista Rosy Battaglia, leader di Cittadini Reattivi (qui quella sull’amianto). Ma ce ne sono tante altre. La differenza è che da oggi è più facile. Da oggi abbiamo il diritto di sapere e non vogliamo più rinunciarci.
Se avete proposte o suggerimenti scriveteci a inchiestaitalia@agi.it