L'intervento a gamba tesa di Pierre Moscovici nella campagna elettorale italiana aiuta i partiti europeisti o si tradurrà in un boomerang? Il commissario europeo agli Affari economici dosa sull’Italia parole di fuoco e qualche lode, poi attacca senza scampo le politiche antieuropee del M5s e le parole di Attilio Fontana sulla “razza bianca”. L’intervento peserà sicuramente nel dibattito elettorale: l’Italia fa parte della Unione europea a tutti gli effetti e il suo destino è legato indissolubilmente a quello di Bruxelles.
Innanzitutto bisogna capire chi è Moscovici. Politico del Partito socialista francese, di origine ebraiche rumene, è stato ministro prima con Chirac e poi con Hollande. Indicato dal governo francese a Jean Claude Juncker come commissario all’economia, ha proposto una dottrina meno rigorista rispetto all’asse del nord-est europeo, favorendo politiche di crescita e investimento. Ha sempre fatto le pulci ai bilanci italiani, aiutando però i governi del nostro Paese a conquistare più flessibilità di quanta non ne volesse concedere la Germania.
Il suo intervento di martedì, letto nella sua interezza, indica nell’Italia uno dei rischi dell’Europa per il 2018, fa però notare che non sarebbe la prima volta che il nostro Paese cade in piedi come un gatto e si dice quindi fiducioso sul nostro futuro. Poi boccia senza appello le parole e le proposte di Attilio Fontana sulla razza e di Luigi Di Maio contro il tetto del 3% nel rapporto deficit-Pil.
Non è il primo esponente europeo a intervenire nella campagna elettorale e non sarà l’ultimo. La politica ormai ha connessioni strettissime a livello internazionale. È di pochi giorni fa l’allarme dei democratici Usa su un possibile sostegno della Russia ai partiti populisti italiani.
Nei mesi passati Silvio Berlusconi ha beneficiato di un endorsement del Partito popolare europeo trainato da Angela Merkel al suo ritorno in politica. Mentre Matteo Salvini ha fatto dell’antieuropeismo uno dei suoi cavalli di battaglia. Il M5s sta cercando di accreditarsi nelle cancellerie europee per dimostrare la propria affidabilità come forza di governo, ma non lesina critiche all’attuale politica europea e non esclude un referendum sull’euro. Più volte lo stesso Luigi Di Maio ha compiuto diverse visite all’estero e altre ne ha in programma prima del 4 marzo, e a novembre ha scritto una lettera a aperta al presidente francese Emmanuel Macron per rassicurarlo e spiegare la sua visione dell’Europa. Ma Macron pochi giorni fa incontrando Paolo Gentiloni ha lodato il suo impegno e si è augurato di poter lavorare ancora a lungo con lui.
Di certo l’attenzione dell’Europa è concentrata sull’Italia e sulle elezioni politiche del 4 marzo. Ma solo una visione provinciale può far pensare che il Belpaese sia il maggior cruccio a Bruxelles. Lo stesso Moscovici oltre al ‘rischio’ Italia ha indicato anche quello legato alle future scelte politiche di Polonia, Ungheria, Austria, Spagna e Germania. Ed è ovvio che dopo lo scossone della Brexit e mentre a est si moltiplicano le spinte euroscettiche e nazionaliste dei paesi di Visegrad, l’Unione europea preferirebbe avere a che fare nei prossimi vertici con governi europeisti e collaudati. Nei prossimi mesi, infatti, si deciderà la nuova architettura economica dell’Unione, che sarà tanto più forte quanto più nei governi nazionali prevarranno partiti europeisti.
Quel che resta da capire è se interventi così espliciti, vere e proprie bacchettate a questa o quella proposta, a questo o quel partito, durante una campagna elettorale nervosa e certo in un clima che non vede la Ue in grande spolvero tra i cittadini di tutta Europa, possano convincere gli elettori a votare per partiti pro-Ue o non vengano invece visti come una fastidiosa ingerenza, provocando un effetto boomerang che aiuta i partiti più euroscettici.