La settimana che precede le elezioni potrebbe portare una novità tra i temi ormai un po' stanchi della campagna elettorale: le squadre dei ministri delle diverse coalizioni.
Sia Silvio Berlusconi che Luigi Di Maio hanno annunciato che prima del voto faranno alcuni nomi per sottoporre con trasparenza agli elettori anche le personalità individuate per dirigere i principali ministeri. Il Cavaliere, tra l'altro, ha anticipato che svelerà anche la persona che guiderà il governo, non potendo lui andare a palazzo Chigi perché impedito dalla legge Severino.
Ma difficilmente i nomi che saranno snocciolati da qui a qualche giorno diventeranno veramente premier e ministri. E questo si deve a due motivi: la legge elettorale e la Costituzione.
Il Rosatellum, come si sa, è una legge per due terzi proporzionale e questo porta a una competizione interna alle stesse coalizioni. Nel centrodestra, dunque, i ministri che sono suggeriti da un partito, dopo il voto, dovranno avere il gradimento anche dei partiti alleati, in caso di vittoria dello schieramento.
Questo vuol dire chiaramente che le candidature avanzate prima del voto da ogni partito, dal presidente del Consiglio ai responsabili dei diversi dicasteri, sono solo le posizioni di partenza di una vera e propria trattativa che dipenderà dalle percentuali di voto dei singole forze politiche e quindi dai rapporti di forza.
Nessuna lista si trasformerà automaticamente in una formazione di governo dal 5 marzo ma sarà solo uno dei tanti elenchi che si troveranno sul tavolo della coalizione e che troveranno una composizione dopo un duro confronto. Confronto che, peraltro, è già cominciato da settimane tra Berlusconi Salvini e Meloni, che finora non hanno trovato una intesa su nessun nome.
Più facile prima del voto il compito di Di Maio, ma solo sulla carta. Anche per il M5S, che difficilmente avrà da solo la forza di formare un governo, dopo le elezioni si dovrebbe aprire una trattativa con le altre forze che decidessero di sostenere l'esecutivo a trazione grillina e i ministri sarebbero necessariamente parte di questa trattativa. Ed è forse anche per questa incertezza che molte sono state le personalità della società civile che non hanno accettato di dare la loro disponibilità al M5S per candidarsi a fare il ministro.
Sarà per la aleatorietà del risultato, sarà per realismo, ma finora il Pd e il centrosinistra non hanno nemmeno ipotizzato di schierare già una squadra per il futuro ed eventuale governo, salvo caldeggiare senza nessuna formalizzazione la candidatura di Paolo Gentiloni come successore di se stesso, e indicare i principali ministri attuali come personalità di riferimento.
Il secondo scoglio invece è la Costituzione, che all'articolo 92 prescrive che i ministri sono nominati dal presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio. La scelta dei ministri, dunque, è una responsabilità che il premier e il Capo dello Stato condividono. Più volte anche in passato, intere liste di ministri portate al Quirinale dai presidenti del Consiglio sono state radicalmente sconvolte.
Molti sono stati i politici sicuri di guidare un dicastero, ma le cui aspirazioni si sono infrante nello Studio alla Vetrata. Ovviamente quanto più la vittoria di uno schieramento o di un partito è stata forte e tanto meno il presidente della Repubblica esercita il suo diritto di sbianchettare alcuni nomi. Ma è anche vero che tradizionalmente quattro dicasteri di peso, che hanno anche un rilievo internazionale, seppur proposti dal premier hanno dovuto avere il placet del Colle.
Sui ministeri di Esteri, Interni, Difesa ed Economia, molti premier si sono scornati con i 'no' dei presidenti della Repubblica. Ecco perché molti dei nomi che verranno annunciati nei prossimi giorni dalle diverse forze politiche, non necessariamente saliranno le scale del Quirinale per il giuramento, con buona pace delle ambizioni di ognuno.