“Piatto ricco mi ci ficco”. La mano delle mafie nell’agroalimentare è ormai dentro il nostro carrello della spesa, come descrive il V rapporto sulle agromafie dell’Osservatorio sulla criminalità in agricoltura e sul sistema agroalimentare, voluta da Fondazione Coldiretti ed Eurispes. Lo abbiamo raccontato insieme all’ex procuratore Gian Carlo Caselli, lo abbiamo registrato dalle parole del Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti e dalle parole del ministro delle politiche agricole Maurizio Martina, in quello che alla presentazione del V rapporto sulle Agromafie, il ministro dell’Interno Marco Minniti ha definito, senza mezzi termini, “un settore di interesse nazionale”, che come tale va tutelato e sostenuto. In attesa che la nuova legge di riforma contro i reati in campo agroalimentare e a difesa della salute pubblica, voluta dal ministro Orlando, arrivi, finalmente in parlamento.
La criminalità organizzata, da tempo e prima delle istituzioni italiane, ha compreso l’importanza di un settore che solo nel 2015 ha fatturato complessivamente 135 miliardi di euro, pari all’8% circa del PIL, secondo i dati rilevati da Cdr Comunication per conto di Confidustria. E solo l’export ha registrato il record di 37 miliardi, con una crescita del 7,4% rispetto al 2014. Di pari passo, il business criminale è raddoppiato in cinque anni, aumentato solo nell’ultimo anno del 30%, arrivando ad oltre 21,8 miliardi di euro, come ha confermato ad Agi il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo. Come a dire che oltre il 16% del mercato è controllato dalle mafie.
Ma, aspetto non secondario, le conseguenze non sono solo di ordine economico. Nell’Italia paese principe della cultura e del buon cibo con la filiera agroalimentare più controllata del mondo, la collaborazione tra imprese di malaffare e aziende compiacenti e l’opacità anche di una parte di chi è addetto ai controlli e alle certificazioni, inquinano il nostro cibo, mettendo a rischio la nostra salute.
Tutto questo accade dopo anni di battaglie delle associazioni di consumatori, ma anche delle associazioni di categoria e delle imprese oneste, sull’etichettatura e sulla tracciabilità. Ma mediamente, come ha ricordato Moncalvo, solo metà dei prodotti nel nostro carrello è veramente tracciata e molti di questi sono cibo di consumo quotidiano.
Un dato che va fortemente in controtendenza con la richiesta di trasparenza e genuinità dei cittadini consumatori italiani. Secondo gli ultimi dati di Eurispes il 74,1% degli intervistati predilige prodotti Made in Italy percepiti come maggiore garanzia di qualità e sicurezza, ma anche preferiti per gusto e impatto sul benessere. E oltre il 75,4% dei consumatori controlla etichettatura e provenienza degli alimenti. Vero è che la crisi economica ha lasciato il segno: il 69,7% degli intervistati ha dichiarato di cambiare marca di prodotto alimentare se più conveniente.
Sono molte le domande, quindi, che grazie ai vostri stimoli (che potete inviarci un gruppo Facebook dedicato e via posta elettronica a inchiestaitalia@agi.it,) porremo ad esperti, produttori, associazioni di tutela dei consumatori e scienziati nelle prossime settimane. Così come, per chi vuole denunciare in modo anonimo, potrà farlo. Restiamo aperti alla raccolta delle vostre storie, raccogliendo buone e cattive pratiche intorno a temi fondamentali come la tutela della salute pubblica e la tracciabilità.