La presentazione del Rapporto sulla cultura dell’innovazione digitale in Italia il 28 aprile all’Internet day è nel segno del proseguimento del grande impegno e soprattutto della passione che Riccardo Luna era riuscito a trasmettere a tanti con l’iniziativa Digital Champions. Il messaggio dato allora ha prodotto frutti significativi, se pensiamo allo sviluppo di startup, Innovation Hub, Fablab, coworking, HFarm e altri esempi sparsi in tutta Italia dove centinaia di migliaia di giovani sono impegnati "H24" a sviluppare innovazione. Vi è stato anche l’avvio di una politica industriale quale Industria 4.0 che cerca di spingere le imprese manifatturiere a riorganizzarsi attorno alle reti digitali e sono tante le imprese che stanno rinnovandosi. In termini di infrastrutture di reti in fibra si sono fatti passi avanti, anche se appare ancora carente un efficace coordinamento tra gli operatori.
Purtroppo non dappertutto è così. Prendiamo due aree fondamentali quali la scuola e le Pubbliche Amministrazioni in cui si fanno passi avanti e passi indietro in termini di riorganizzazione attorno al digitale. Sono in realtà due aree determinanti per portare il Paese a cogliere tutte le opportunità innovative del nuovo ciclo tecnologico senza dover essere più collocato agli ultimi posti nelle classifiche internazionali.
Per quanto riguarda la scuola, l’uscita della Buona Scuola ha aperto interessanti strade da percorrere per modificare l’approccio organizzativo e introdurre la didattica aperta, l’interattività docenti-allievi , l’interdisciplinarietà delle materie scolastiche, tutte strade favorite dalle reti digitali, così come l’alternanza scuola lavoro per avvicinare la scuola alle esigenze del mondo del lavoro, contrastando finalmente la secolare distanza tra scuola e lavoro imposta dalla tradizionale cultura gentiliana nella scuola italiana.
L’attuazione concreta di tali linee guida sta avendo rilevanti difficoltà in conseguenza delle alterne vicende che caratterizzano il sistema scolastico italiano in cui frequenti riforme hanno determinato complicate modalità di gestione, in cui solo la caparbietà ed il personale impegno di presidi e docenti riesce a consentire uno regolare svolgimento di attività. Il digitale è penetrato con fatica nelle strutture amministrativ , anche a causa della carenza di formazione delle competenze e l’improvvisa immissione di animatori digitali con il compito in ciascuna scuola di diffondere le tecnologie senza aver prima formato questi animatori non ha facilitato. La didattica digitale si è fermata spesso attorno alle Lavagne multimediali (LIM), male utilizzate per carenza di formazione dei docenti. Peraltro, grazie all’impegno “eroico” di molti docenti si sono create esperienze molto significative “a costo zero”. L’alternanza scuola lavoro con la richiesta di dedicarvi le famose 400 ore negli istituti tecnici ed altre ore nei Licei, a causa della carenza storica di collegamenti scuola imprese ha creato molti problemi ai Presidi, alcuni dei quali hanno dato vita con fatica a laboratori in cui gli studenti potessero prendere conoscenza degli obiettivi del lavoro e delle imprese produttive attraverso microrobotica, stampa 3D, Arduino, e-commerce, crowdfunding,ecc.
Molto vi è da fare nella scuola per formare adeguatamente i docenti al digitale, non solo e non tanto come devices di accesso (tablets, smartphones), ma come nuove straordinarie possibilità didattiche e di responsabilizzazione dell’apprendimento, anche in stretto collegamento con le famiglie e le imprese. Non diverso è il discorso relativo al mondo universitario che grazie alle tecnologie potrebbe divenire motore di open innovation e di formazione di competenze oggi carenti ed assolutamente necessarie nelle tecnologie digitali quali progettisti di reti, developers, data scientists e data analysts, esperti di cybersecurity, di digital marketing, così come competenze trasversali su reti digitali, cloud, bigdata analysis, industry 4.0, IoT, machine learning in tutte le attività dirigenziali e professionali, dalle imprese alla sanità, alle amministrazioni pubbliche.
Occorre costruire nelle università vere fabbriche di competenze utili all’innovazione continua, alla nuova managerialità ed alla gestione di sistemi complessi con la diffusione trasversale delle tecnologie digitali. C’è oggi in Italia una gravissima carenza di competenze che frena i processi di innovazione e cambiamento.
Analogamente le Pubbliche Amministrazioni devono trovare nel digitale la strada, non solo per migliorare la propria efficienza, ma soprattutto per offrire i servizi necessari per cittadini e attività produttive, ma così non sembra ancora avvenire in Italia. Su quanto si sta facendo nella PA in Italia con molti ritardi, passi indietro e passi avanti, vorrei riprendere quanto scrive su Agenda Digitale.eu del 22 aprile scorso, Alessandro Osnaghi dell’Università di Pavia, ma soprattutto grande esperto della informatizzazione della Pubblica Amministrazione.
“Non si può negare che da quando, alla fine degli anni 90, si iniziò a parlare di e-government molte amministrazioni centrali e territoriali abbiano ottenuto significativi risultati nell’utilizzo delle tecnologie digitali per una migliore gestione dei processi interni e dei servizi da erogare a cittadini e imprese…. I progressi si sono realizzati quando i progetti informatici potevano essere sviluppati autonomamente da ogni singola amministrazione senza necessità di dipendere o coordinarsi con altre amministrazioni… la fase successiva è quella dei progetti sistemici che comportano la partecipazione (e quindi la collaborazione progettuale) di più amministrazioni o anche di tutte le amministrazioni di una certa tipologia. L’Italia non è ancora entrata in questa fase anche se SPC – l’infrastruttura abilitante progettata per supportarla – è disponibile da un decennio, ma praticamente, che io sappia, non è mai stata utilizzata ed è oggi tecnologicamente obsoleta. In queste settimane si rincorrono le considerazioni e i preoccupati commenti (per la verità non sempre appropriati) relativi alle serie prospettive di insuccesso dei progetti a carattere sistemico attualmente in sviluppo; in particolare per quanto riguarda le tematiche della cittadinanza digitale sul banco degli accusati troviamo i progetti ANPR, CIE e anche SPID…. Gli insuccessi sopra citati si riferiscono tutti a progetti sistemici e dovrebbe essere ormai condivisa tra gli osservatori la convinzione che gli strumenti organizzativi e operativi con cui il Governo e la Pubblica Amministrazione italiana hanno fatto e continuano a far fronte a questa tipologia di progetti, sono del tutto inadeguati. Il fatto che per la seconda volta il Governo sia intervenuto con la nomina di un Commissario straordinario segnala che anche a livello politico si è avuta, se non altro, la percezione che il modus operandi esistente, in sintesi la governance dei progetti, non è sufficiente a garantire i risultati attesi….. Se grazie alla sua credibilità, alla scadenza del suo mandato il Commissario Piacentini potesse lasciarci con la proposta, possibilmente avviata a implementazione, di un vero modello di governance per i progetti sistemici, il valore aggiunto del suo contributo sarebbe per il nostro paese immensamente superiore al valore di qualche prodotto software così bello da dover per forza essere utilizzato o al valore dell’integrazione in ANPR del 40% dei Comuni senza che si sappia se e come il restante 60% possa essere integrato entro un tempo predefinito.”
In conclusione, credo che per lo sviluppo di una reale cultura dell’innovazione digitale in Italia ci sia ancora molto da fare creando passione e interesse anche con l’apporto dell’Internet Day e del suo spirito.