Nel grande appuntamento dell’editoria tenutosi a Torino su “The Future of Newspaper” un tema ricorrente è stato quello della competizione gratuita delle piattaforme.
La buona informazione non può essere gratis si sono affrettati a precisare i rappresentanti del gotha mondiale dell’editoria, con decise prese di posizione in particolare contro i “nemici” Google e Facebook.
Forse però editori e direttori di giornali dimenticano anni di articoli e news che hanno inondato i propri lettori sul fatto che la rivoluzione della rete fosse in massima parte un fatto positivo perché milioni di persone potevano finalmente accedere a contenuti gratuiti quali musica e film in particolare.
Google search su questo è uno strumento spietato. Basta fare qualche veloce ricerca per ripercorrere una storia che vede la stampa adorare e osannare Shawn Fenning, il fondatore di Napster, che portò oltre sessanta milioni di utenti a scambiarsi musica pirata in rete. In seguito adorare i ragazzi di Pirate Bay , descritti per lo più come eroi della rete contro la major dell’intrattenimento. Infine l’amore per Kim Dotcom, neanche fosse un perseguitato internazionale del quale narrare le eroiche gesta e la sua resistenza giudiziaria, con tanto di copertina su Wired, quando distribuiva contenuti illegali tramite Megaupload.
Oggi di tutto questo pensiamo che i giornali si siano pentiti ? Nemmeno per sogno. Basta ancora una sentenza di assoluzione di un sito pirata per trovarsi in home page dei maggiori siti di news, bene in evidenza, il titolone “Scaricare musica e film non è reato”o “si scambiavano film: assolti” ed altri titoli simili facili generatori di click.
L’industria musicale che oggi, grazie alla trasformazione e l’adattamento all’innovazione, sta difficoltosamente trovando la propria strada non ha dovuto combattere solo con l’aggressione della pirateria e delle difficili condizioni normative ma si è dovuta per anni confrontare con una sistematica campagna in favore del libero accesso ai contenuti che ha visto la stampa in primo piano a sostenere questa offensiva, con poca lungimiranza, visto che poco dopo, nel tritacarne del tutto free, ci si sarebbe trovata dentro fino al collo.
I danni di questa poco oculata strategia di comunicazione sono stati molto più gravi del previsto. Non solo hanno generato confuse aspettative nei consumatori e tra improbabili start up, ma hanno anche alimentato iniziative politiche e parlamentari, contribuendo a sostenere quella lobby anti copyright che oggi viene subdolamente cavalcata con la definizione di “difensori della libertà di espressione” dalle grandi piattaforme online che lucrano sul contenuto free.
Ci auguriamo pertanto che “the future of newspaper” sia florido più che mai e che i modelli di business possano salvare l’informazione di qualità visto che la costruzione di questo futuro è stata per lo più fondata su messaggi di senso opposto.
Leggi sullo stesso argomento il post di Riccardo Luna: "Il decalogo di Bezos sul futuro dei giornali"