Mentre Torino accoglie il giornalista turco Can Dundar e L’Espresso gli dedica un’intervista incentrata sulla mancanza di libertà d’espressione in Turchia, anche un nutrito gruppo di intellettuali lancia un appello. Gli accademici che sono stati licenziati in Turchia hanno raggiunto il 30 aprile l’incredibile numero di 5.295. Un gruppo di loro, perseguitati perché firmatari di un appello per la pace nella regione curda della Turchia (Academics for Peace), ha lanciato qualche giorno fa una campagna internazionale per il boicottaggio delle attività accademiche in Turchia.
La bella Istanbul è meta ideale di convegni accademici, con i suoi alberghi internazionali adagiati sulle affascinanti sponde del Bosforo dove, tra una presentazione e una tavola rotonda, si assapora un Turkish delight al pistacchio o alla rosa e nell’intervallo del pranzo si visita la Moschea Blu o ci si perde tra le bancarelle del Gran Bazar. I costi dei convegni sono contenuti e gli organizzatori possono trovare facilmente il sostegno di una delle centinaia di università pubbliche e private che accolgono studenti turchi, russi, centroasiatici, africani e slavi che magari avrebbero più difficoltà ad ottenere il visto britannico.
Il gruppo di Academics for Peace chiede (legge qui) ai colleghi stranieri di cessare le attività di collaborazione con il comparto universitario turco, ritenendolo in violazione delle norme internazionali sull’istruzione universitaria. Auspicano un boicottaggio mirato, elencandone i termini con precisione.
Il clima è pesante. Solo per aver firmato quella petizione per una soluzione pacifica del conflitto curdo, gli Academics for Peace sono sottoposti a una serie di inchieste penali e amministrative, a detenzioni, licenziamenti, alla revoca di passaporti e divieti di espatrio, negazione del diritto alla pensione ed esclusione dal mercato del lavoro attraverso la compilazione di una lista nera.
Gli oppositori politici vengono bollati come terroristi, appartenenti al movimento di Fetullah Güllen al quale viene attribuito il tentato golpe della scorsa estate. I licenziamenti arrivano dall’alto e sono effetto delle leggi speciali. Il Consiglio di istruzione universitaria (YÖK) e i rettori cooperano con i servizi segreti e ne seguono le direttive insieme alla polizia per redigere elenchi di personale accademico da licenziare. Le liste dei licenziamenti sono approvate dal governo e dal Presidente della Repubblica Turca Recep Tayip Erdoğan e eseguiti tramite decreto nel contesto delle leggi speciali dello stato di emergenza post-golpe, dunque senza diritto di appello.
Come la moglie del giornalista Can Dundar, bloccata in Turchia senza passaporto mentre il marito è esule in Germania, anche questi accademici non sono liberi e il divieto di esprimersi liberamente intacca anche altre libertà. La vita culturale della Repubblica Turca appare bloccata. Verranno ancora gli studiosi stranieri a ravvivarla con la partecipazione a simposi di ricerca?