Il 25 marzo 2017 sarà ricordato come una splendida giornata in cui sole primaverile, una dichiarazione con 27 firme e l’assenza di incidenti in piazza hanno almeno per un giorno fatto dimenticare la profonda crisi che attraversa l’Unione europea, ad appena 4 giorni dall’inizio del doloroso processo che porterà all’uscita del Regno Unito e a quattro settimane dal primo turno delle temutissime elezioni presidenziali in Francia. Il governo di Paolo Gentiloni rivendica il ruolo di essere riuscito a celebrare i 60 anni del trattato di Roma con un programma per i prossimi 10 anni sottoscritto da tutti e 27 i paesi, mostrando cosi’ un “fronte comune” in vista del difficile negoziato con Londra. Il lavoro dei diplomatici è continuato fino all’ultimo momento per permettere il risultato, che, soprattutto in confronto alla precedente celebrazione del mezzo secolo, nel 2007 a Berlino, che si era conclusa con una dichiarazione generica firmata solo dalle istituzioni e non dai paesi, è oggettivamente molto più solido. E’ vero che per ottenere il via libera dei paesi più “riottosi”, la Polonia soprattutto, è stato necessario limare il testo cambiando le parole che si riferiscono ai diversi ritmi a cui procederà, nei prossimi anni, l’integrazione comunitaria e togliendo i riferimenti a una politica di “genere”. Ma è anche vero che le quattro priorità (economia, difesa, società e sicurezza), sono state chiaramente delineate e che il coinvolgimento del Parlamento europeo nelle prossime fasi è stato sancito con chiarezza. “Sei mesi fa – ha detto il presidente di turno del Consiglio Ue, il premier maltese Joseph Muscat – in pochi avrebbero scommesso su questa unita’”. Ma, si fa notare negli ambienti comunitari, minacciare la disgregazione dolosa dell’Unione in una fase storica così piena di difficoltà e problemi globali è autolesionista, e anche i paesi dell’Est sembrano averlo capito, almeno in occasione della celebrazione. E cosi’ Roma ha potuto orgogliosamente fare da splendido scenario alla firma sorridente dei 27 leader, con un contorno di aneddoti che vanno dalla penna con cui Jean-Claude Juncker ha firmato, macchiandosi di inchiostro le dita (la stessa usata 60 anni fa dall’allora premier lussemburghese cristiano sociale come Juncker, Joseph Bech) al paradosso dell’accoglienza al Campidoglio, nella giornata europeista per eccellenza, da parte di una padrona di casa, il sindaco Virginia Raggi, che appartiene al MoVimento 5 Stelle, il partito euroscettico più temuto dall’establishment comunitario.